Settimana dell'educazione 2016 - Santa Impresa

Presentazione della Settimana dell'educazione

L'idea di incentrare la Settimana dell'Educazione 2016 sul tema della fatica deriva da una serie di attente riflessioni sulla contemporaneità.

Da educatori ci troviamo davanti a sempre maggiori criticità: il rapporto con i più giovani è forse più "turbolento" che un tempo. Le critiche rivolte dall'universo giovanile al mondo adulto lasciano segni sempre più profondi nella storia e nell'identità personale. Sembra che la società adulta mostri una fragilità che va di pari passo con quella che gli specialisti definiscono la "crisi del padre", intendendo con questa espressione il crollo (nel rapporto educativo) di tutto quel patrimonio di regole, norme, indicazioni che la società adulta consegnava ai giovani principalmente nella relazione con la figura paterna.
Al contempo i ragazzi ed i giovani sono ben altro rispetto a ciò che appaiono. Belli, istruiti, potenzialmente "invincibili" eppure anch'essi estremamente fragili. Basta una fatica legata alla quotidianità (pensiamo all'universo delle relazioni interpersonali ad esempio) o a qualche tappa particolare del proprio percorso evolutivo (fallimenti scolastici, delusioni affettive, lutti famigliari, etc.) ad aprire una ferita profonda che non sempre viene rimarginata.

Appare pertanto urgente tornare a porre la riflessione della comunità educante sul valore della fatica. Una fatica sana, salubre, legata al normale processo evolutivo di un individuo; non "sano masochismo". È quella serie di passaggi (una volta considerati normali!) che permettono al "cucciolo d'uomo" di diventare adulto. Questo atteggiamento deve oggi essere recuperato in primis dagli educatori, i quali devono ritornare ad essere riferimenti stabili e sicuri per i giovani loro affidati. Tutto ciò acquista senso e significato solo se epurato da una immagine stereotipata dell'adulto come dell'uomo "a se stante", autoreferenziale, "che non deve chiedere mai", per utilizzare uno slogan pubblicitario in voga qualche anno fa! Non è così, non lo è mai stato e forse mai lo sarà proprio perché l'uomo impara chi è dalle relazioni che vive.

Trasmettere la bellezza che può emergere dalla fatica, la soddisfazione per qualche traguardo che con il sudore si è conquistato (pensiamo a tal proposito all'ambito sportivo o scolastico) da ai più giovani il coraggio di osare. Permette loro di acquistare consapevolezza e fiducia in se stessi per affrontare un mondo che non sempre si presenta come si desidererebbe ma non per questo è malvagio o opprimente.

Ai rappresentanti della Chiesa italiana, riunita a Firenze lo scorso 10 novembre, papa Francesco ha rivolto queste parole:

"Faccio appello soprattutto «a voi, giovani, perché siete forti», diceva l’Apostolo Giovanni (1 Gv 1,14). Giovani, superate l’apatia. Che nessuno disprezzi la vostra giovinezza, ma imparate ad essere modelli nel parlare e nell’agire (cfr 1 Tm 4,12). Vi chiedo di essere costruttori dell’Italia, di mettervi al lavoro per una Italia migliore. Per favore, non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico. Le mani della vostra fede si alzino verso il cielo, ma lo facciano mentre edificano una città costruita su rapporti in cui l’amore di Dio è il fondamento. E così sarete liberi di accettare le sfide dell’oggi, di vivere i cambiamenti e le trasformazioni".

Non possiamo che fare nostro questo invito e, da educatori, adoperarci affinché si realizzi nella vita dei più giovani.

In allegato il programma dell'iniziativa.

Spettacolo Santa Impresa

di Laura Curino, con Beatrice Marzorati e Davide Scaccianoce

Una “Santa Impresa” quella aperta in Piemonte a fine Ottocento dai cosiddetti Santi Sociali Piemontesi. Nessuna Regione può vantare un così alto numero di Santi in così pochi decenni. Ancor più difficile conciliare le parole “impresa” e “santità”. Eppure, più che una contraddizione di termini, Giuseppe Cafasso, Juliette Colbert, Giuseppe Cottolengo, Francesco Faà di Bruno, Leonardo Murialdo e Giovanni Bosco l’hanno trasformata in una vocazione divenuta realtà. Ma soprattutto hanno fondato imprese che ancora oggi sono attive e prolifiche. E già questo è un miracolo.

Ognuno a proprio modo, questi Santi si sono trovati ad affrontare mille ostacoli ed altrettante difficoltà, in mezzo ad una società che cambiava continuamente forma. Una società piena di contrasti (tra Stato e Chiesa, all’interno del clero stesso…), ma soprattutto una città, Torino, in cui un’enorme massa di poveri arrivava senza niente dalle campagne in cerca di un po’ di fortuna.

Ѐ in questo contesto che questi uomini e queste donne sono riusciti ad incarnare il proprio ideale di santità. Cafasso che accompagnava al patibolo i suoi “santi impiccati”, Colbert, Marchesa di Barolo, che si è fatta amica delle carcerate restituendo loro dignità e speranza, Cottolengo che da prete pigro ha aperto la “Piccola Casa della Divina Provvidenza” per dare un tetto e cure a quanti ne avevano bisogno. Ma anche il multiforme Faà di Bruno (aristocratico, musicista, luogotenente, sacerdote…) che offriva aiuto alle donne di servizio e alle cameriere presso l’Opera di Santa Zita, Murialdo, paziente e tenace con i suoi Artigianelli, ma anche capace di avere uno sguardo acuto e lungimirante sulla questione operaia e Giovanni Bosco, il prete dei ragazzi e degli oratori, ma anche della fatica e della delusione.


Intervista a Beatrice Marzorati

Attrice e assistente alla drammaturgia dello spettacolo

Come nasce e cos’è questa “Santa Impresa”?
L’idea di questo progetto nasce dalla collaborazione tra Laura Curino e la compagnia teatrale veneta Anagoor. Il tema è piuttosto insolito, sono le storie di questi Santi, ma si è scelto di approfondire la parte “imprenditoriale” delle loro vite che è la parte più curiosa legata a queste figure, al di là della santità e del misticismo. Ѐ singolare come tutti quanti operino sullo stesso territorio ristretto (Torino e dintorni) e nello stesso arco di tempo (all’incirca cinquant’anni), oltretutto in un periodo particolare come il Rinascimento in cui sono cambiate tante cose in pochissimo tempo. Ѐ difficile per noi riuscire a ricostruire i paradigmi dell’epoca, però va sottolineato come in tempi di crisi questi Santi siano riusciti a realizzare grandi cose e anche come, a fronte di contraddizioni interne fortissime, abbiano mantenuto una coerenza nel modo di agire che trovo confortante sia per chi crede sia per chi no.

Cos’hanno in comune queste figure, oltre ai tempi e ai luoghi?
Nelle ricerche abbiamo trovato molte differenze tra tutti loro, ma anche analogie profonde. Queste persone sono riuscite a creare una rete virtuosa, hanno avuto una Fede molto profonda ed altrettanto vivace, pur declinandola ognuno a proprio modo e in base alle esperienze vissute. Tutti hanno avuto il proprio punto di svolta in un momento difficile, di crisi, e nella disperazione più profonda hanno trovato il senso del proprio agire venendo a contatto con gli ultimi. Hanno saputo trovare la forza di avere coraggio, di non arrendersi e di lasciarsi guidare dall’amore per il prossimo.

Come avete scelto di affrontare un tema così delicato?
Abbiamo deciso di dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità. Abbiamo cercato di curare l’aspetto umano ponendo domande su questi personaggi e tentando di restituire le luci e le ombre di ciascuno: hanno molte sfaccettature, non sono i classici “santini”. Ammetto di essere confortata dal fatto che nemmeno loro fossero consapevoli di essere Santi, lo speravano probabilmente, ma non ne erano affatto certi. Insomma, non nascondiamo niente, nemmeno i loro dubbi interiori.

Cosa ci lascia questo spettacolo?
Spero possa essere significativo per noi che siamo lontani temporalmente da loro, ma viviamo comunque una situazione di crisi. Possono esserci d’esempio per trovare una via d’uscita, anche perché sono riusciti ad essere incisivi nel loro presente ma anche nel futuro. Credo che sia un messaggio capace di arrivare non solo a chi coltiva un proprio percorso di Fede, ma che sia più universale.
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